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Ma il cielo è sempre più blu

~ Una video-inchiesta sugli stereotipi di genere con i bambini della scuola primaria. E molti altri scritti che non c'entrano niente.

Ma il cielo è sempre più blu

Archivi della categoria: Interventi

Una violenza del genere come si racconta?

30 lunedì Nov 2015

Posted by AlessaNDra in Interventi, Tv e Pubblicità

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alessandra ghimenti, huggies, iap, ma il cielo è sempre più blu, pari opportunità, pubblicità, rai, sessista, tv, violenza

Pubblico di seguito il testo del mio intervento all’incontro in RAI del 25 novembre.

Questo spot è stato un caso mediatico risalente a giugno 2015, mese in cui lo IAP è intervenuto:

Le diverse necessità della pipì vengono estese ai desideri futuri inquadrati semplicisticamente. Il modello viene usato come carica deterministica restrittiva e degradante.

Ricordo che tale campagna pubblicitaria vantava una petizione dei Manif Pour Tous che invitava lo IAP a non cedere a:

polemiche ideologiche che non tengono conto delle differenze tendenziali e abitudini comportamentali che caratterizzano bambini e bambine.

A mio parere non stupisce che una pubblicità televisiva sia indirizzata a questo tipo di target. Fare pubblicità retrive è uno dei trend del momento (recentemente il caso Melegatti); il target di riferimento è più riconoscibile, affiliato e con grandi vincoli di appartenenza, rispetto al mare magnum del politically correct, sfuggente, pericoloso nelle sue molteplici declinazioni e tutele. Si rischia sempre di offendere qualcuno. A questo serve lo IAP,  Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria.

Già, a cosa serve lo IAP? È un interrogativo provocatorio che mi sono posta, dopo aver letto Necrologhi, l’ultimo libro di Maria Nadotti. Lo IAP aiuta la pubblicità a farsi migliore. Quindi si tratta di bieco pinkwashing, cioè di quel fenomeno per cui si finge di sposare tesi femministe solo per vendere meglio? Del resto la pubblicità serve a vendere, non si può chiedere alla pubblicità un intento progressista essendo lei tanto più efficace quanto più rispecchia il presente.
Oppure, un istituto come lo IAP, ha il compito di sorvegliare la pubblicità poiché sappiamo quanto le immagini che vediamo, tutto ciò che fruiamo nel quotidiano contribuisce a forgiare l’immaginario di chi guarda, soprattutto ragazzi e ragazze bambini e bambine che se lo stanno formando?

Apro una parentesi sulla pubblicità diretta proprio a bambini e bambine, che si son rivelati un target di mercato molto appetibile. In questi ultimi anni si è assistito a una rigenderizzazione dei giocattoli. Hanno differenziato l’offerta per creare la domanda. Giocattoli come la LEGO che negli anni ’80 era unisex adesso si differenzia in ambientazioni da maschi (avventure, spazio, technic, metropolitano), e ambientazioni da femmine (casa, fantasy), per cui perfino i personaggi sono cambiati, quelli destinati alle ambientazioni femminili si sono ingranditi per diventare come bambole, con cui giocare in casette dai colori rosacei o pastello.

Questo riflette la tendenza di quasi tutta la pubblicità e la produzione riservata ai più piccoli. Vi invito a sfogliare i cataloghi di natale della Toys’r’us.

Nelle pubblicità di giochi “da femmine” le bambine sono quasi sempre ritratte in interni, i colori sono tenui, pastello, rassicuranti, le voci sono sempre acute come quelle della mamma e del neonato, gli slogan sono spesso in rima, le inquadrature sono poche e ci sono molte dissolvenze. Le protagoniste hanno ruoli passivi.

Al contrario nelle reclame dei giochi da maschio ci sono rapidi cambi di inquadratura, c’è più azione, la musica è più alta, i colori sono forti e a contrasto, i protagonisti possono avere ruoli aggressivi o ribelli, corrono, saltano, entrano in competizione, si picchiano, fanno esperimenti e maneggiano cose disgustose.

Da qualche anno intervisto bambini e bambine su questi temi. In una classe ho chiesto perché secondo loro le femmine venissero ritratte in maniera meno attiva.Mi ha risposto un bambino di quarta elementare:
“Perché così le fermano”

Questo secondo spot è una pubblicità di cucine che è andato in onda indisturbato per qualche anno. Un bianco rarefatto si dissolve sui volteggi di Barbie Casalinga, inoffensiva anche nel nome: Angela, si legge sulle tazze. L’atmosfera è un incrocio fra un gazebo di Wedding Planners e le tende polverose di The Others. La casa è disordinata ma lei la rassetta sorridente, efficientissima, in contrappunto con la voce over. Si muove leggiadra in queste stanzette biancheggianti traboccanti di calzini sudati e scarpette fetide.

“Immaginavo una figlia ballerina” ci mancherebbe “e ho avuto due maschi”
(calciatori, sia mai) che le riducono il salotto buono come un porcile.
“Immaginavo di cantare” sul giradischi piovono rose “e ho studiato legge”, e probabilmente poi è impazzita per la frustrazione tanto che ora ripone dischi gocciolanti nello scolapiatti. La chiusa chiarisce ogni dubbio:
per realizzare i nostri sogni di donna bisogna farne partecipe una cucina.

Voglio indagare ora non tanto la pubblicità quanto il contenitore che la ospita. Il palinsesto televisivo al cui interno troviamo questi segmenti pubblicitari.
Questa pubblicità andava in onda con particolare insistenza in fascia pomeridiana, quella fascia fruita nella distrazione, e nella digestione, che serve più a rassicurare l’utenza che non a sollecitarla a riflettere o a scardinare le proprie convinzioni.
Giusto l’altro ieri, mi sono fermata a guardare un approfondimento di costume, in onda in una rete nazionale. Si parlava di abitudini sportive dei vip elencando una serie di personaggi noti, considerati solo per la frequenza con cui fanno ginnastica, e per questo bacchettati a dovere in caso di cedimenti. La galleria proposta si componeva di sole donne: Madonna, Adele, Sharone Stone, e Amal Alamuddin, brillante avvocata libanese di diritto internazionale, che si è recentemente messa contro la magistratura egiziana. Amal viene indicata come “Signora Clooney” che, cito testualmente:
“nel non voler cedere al grasso ci ha rimesso qualche taglia di reggiseno”

Occorre a mio parere, parlare di donne in maniera diversa, reale. Non trattarle solo bidimensionalmente come immagini, ma ritrarle a tutto tondo, con le loro potenzialità e coi loro ruoli. Le donne raramente vengono interpellate* come esperte di politica, di scienza. Più frequentemente sono esperte di moda, di astrologia, vengono chiamate a parlare di violenza, o condizione della donna; ma difficilmente si esce da questa gabbia. Quasi che il sapere delle donne si limitasse alla loro condizione ontologica, o che la questione della parità interessasse solo le donne. A tal proposito ricordo che la violenza sulle donne costa 16,72 miliardi di euro, fra costi giudiziari, sociali, sanitari, di ordine pubblico**.

Ma parlare di violenza è un’arma a doppio taglio. Se è vero che porta alla luce un fenomeno diffuso e prima taciuto, si rischia che il tema venga espropriato, delle sue problematiche, del precipitato di partire da sé indispensabile per la sua analisi. La violenza di genere viene assunta dalla pubblicità e dalla tv senza una messa in critica, diventa un marketing, una tendenza da cavalcare, come nel caso della pubblicità di Coconuda con Anna Tatangelo, nel verso giusto; o al contrario (A; -A) come nel caso di Dolce e Gabbana, Relish; casi in cui si cerca lo scandalo, per il vecchio sistema del purché se ne parli. Che è più facile e meno rischioso. Mentre le campagne pubblicitarie che si presuppongono di essere virtuose, si inerpicano su un terreno scivoloso, in cui spesso scivolano, tradendo gli intenti di sfruttamento del brand della violenza. E ci offrono donne ritratte come vittime, incapaci di riconoscere un partner violento, tumefatte, inebetite, un’immagine femminile che non si pone in contraddizione né in alternativa agli altri modelli proposti dalla pubblicità sessista a cui vogliamo opporci.

*fonte CENSIS 2006

**fonte INTERVITA

 

 

Bibliografia

– Loredana Lipperini, Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli, 2007

– Maria Nadotti, Necrologhi, Il Saggiatore, 2015

– Daniela Brancati, Occhi di maschio, Donzelli, 2011

Viva la Rai

23 lunedì Nov 2015

Posted by AlessaNDra in Interventi

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Iniziativa 25 Novembre 2015 Pari Opportunità Rai Milano

Ho sempre sentito che nel mio futuro avrei varcato le porte della Rai.
Pensavo di farlo con una spaccata volante alla Heather Parisi, e invece credo sia meglio mantenere un atteggiamento più composto.
E’ che la Rai ha organizzato un convegno per parlare di violenza sulle donne e media, ed ha invitato varie realtà attive sul territorio.
Fra cui la Casa delle Donne di Milano, consesso variegato di varie donne, alcune del varietà, in cui sono attiva da più di due anni.
E insomma la Casa delle Donne ha selezionato una delegazione di sue rappresentanti da spedire all’incontro e ha scelto me come oratrice. Non so su che basi abbiano fatto i casting.
Sta di fatto che mercoledì potrete sentire in streaming l’incontro, in cui verrà analizzato il trattamento della violenza sui media, nella pubblicità, con un focus particolare su “Amore Criminale”.
Trovate sotto il comunicato stampa.
Su carta intestata.
Che leggere Rai in cima e Alessandra Ghimenti in fondo, fa un certo che.

Comunicato stampa Pari Opportunità Rai Milano 2511

Così sono: se mi pare

10 lunedì Nov 2014

Posted by AlessaNDra in Interventi

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alessandra ghimenti, alessio miceli, assunta sarlo, bambine, bambini, convegno, così sono se mi pare, inchiesta, letizia lambertini, ma il cielo è sempre più blu, marina cosi, marina piazza, pari opportunità, parità, rita innocenti, sesto san giovanni, stereotipi di genere, usciamo dal silenzio

cosi sono x blog

Foto Marika De Sandoli

E’ stato interessante, bello, formativo, ricco, e divertente.
E’ stato faticosissimo.
E’ stato il quarto capitolo di “Ma il cielo è sempre più blu” realizzato a Sesto San Giovanni (Milano), periferia di città.
E’ stato girato a settembre e subito montato. 70 bambini e bambine, 5 ore di girato, 3 giorni di riprese, 1 microfono rotto, 2 versioni definitive, 100 dvd, 2 settimane per montarlo, 4 notti al pc, 1 progetto, infinite mail, il convegno.
“Così sono se mi pare. Oltre gli stereotipi, la sfida della parità.”
A Sesto San Giovanni, il 7 novembre, organizzato da Usciamo dal Silenzio, nello specifico da Assunta Sarlo, partner del progetto “Progettare la parita in Lombardia 2014”, a cui ha partecipato come capofila il Comune di Sesto, grazie all’interessamento di Rita Innocenti (persona splendida, politica fuori da comune..) Assessora alle Pari Opportunità.
La mattina è stata formativa.

Marina Piazza, ha posto l’attenzione sui nuovi stereotipi fluttuanti ma rigidi. La donna in azienda. Dallo stereotipo della carrierista impermeabile ai canoni di bellezza imposti, si pensi alle politiche Rosy Bindi o Tina Anselmi, siamo passati a Christine Lagarde, la donna inappuntabilmente curata che ogni mattina dedica un’ora al massaggio; particolare ambiguo che cela una trappola: per essere accettate nella società, per sfondare il tetto di cristallo, si deve coniugare l’intelligenza alla bellezza? Tacchi alti => alti obbiettivi? Per diventare soggetti le donne devono oggettivarsi? Il richiamo alla realtà impone la necessità dell’imperfezione.

Letizia Lambertini, antropologa, evidenzia l’assenza di lessico. Le parole non sono adeguate alla varietà dell’esperienza e dei pensieri. I bambini e le bambine che vivono in un contesto aperto, stimolati dalla quantità di variabili del reale, crescono più liberi e più libere. La condivisione delle esperienze, il racconto può sopperire a questa mancanza, fornendo strumenti anche nella scuola.

E’ quello che fa Alessio Miceli, Maschile Plurale, raccontandoci un confronto avuto con un suo studente. La sua soggettività di uomo, è utile come strumento per interpretare la sessualità, intrisa di virilità stereotipata, fruita dal ragazzo attraverso internet.

Marina Cosi, Gi.U.Li.A, disserta invece sulla necessità di un linguaggio che sgretoli l’idea del neutro maschile. La declinazione al femminile di certe professioni, avallata dal sacro bollo dell’Accademia della Crusca, introduce nell’interlocutore la consapevolezza di star usando uno stereotipo. Ministra, si dice. Avvocata si dice. E se qualcuno fa del purismo ricordiamoci che perfino Dante usa questi termini nella Commedia, riferendoli alla Madonna.

E per finire Assunta Sarlo, coordinatrice del convegno, introduce me e “Ma il cielo è sempre più blu” con una lettura dell’ultimo libro di Maria Perosino “Le scelte che non hai fatto”.

E poi nel pomeriggio l’assemblea dei bambini e della bambine, intervistati e non intervistati nel nuovo capitolo. A breve ne farò il consueto estratto da youtube. Anticipo solo due cose.

La prima.
Una delle risposte ricevute. L’ho sentita, l’ho trascritta, ma nella frenesia del montaggio è andata perduta. L’ho ricercata febbrilmente riascoltando tutte le 70 interviste, Niente. Persa, come lacrime nella pioggia.
Era di un bambino di 5° elementare.
– C’è differenza fra maschi e femmine?
– Sì. I maschi sono più attivi. Le femmine sono più tranquille. Poi è chiaro che se sbarcano gli alieni anche le femmine scappano.

La seconda.
Un commento a caldo di una bambina al convegno. Biondina timida, jeans, felpa rossa. Capelli corti su un fianco, e lunghi sul resto della testa.
– Ti è piaciuto questo documentario?
– Sì. Perché racconta le vite degli altri.

dvd x blog

Il dvd contenente solo questo 4° capitolo è distribuito dal Comune di Sesto San Giovanni, ed è a disposizione delle scuole che hanno aderito al progetto: gli istituti comprensivi “Giovanni Pascoli”, e “Martiri delle Libertà”.

Si dice donna

02 venerdì Nov 2012

Posted by AlessaNDra in Interventi, Tv e Pubblicità

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La protesta, quando parte dalle donne
incontra reticenza, ironia,
se non
decisa condanna.
[Loredana Cornero – La tigre e il violino]

Nel 1977 arrivò in prima serata su Rai2 “Si dice donna”, un programma fatto dalle donne per le donne. Quelle vere dico. Quelle che non si riconoscevano nella donna descritta dagli uomini. Parlavano di contraccezione, di aborto, di salute, di sessaulità, di lavoro, di arte, di manifestazioni, di matrimonio, di ruoli in casa, di politica. Insomma di roba che ora pare fantascienza.
Vedere oggi “Si dice donna” ti da un effetto straniante. Ti sembra di esserci dentro e nello stesso momento ti sembra lontanissimo. Stringe il cuore e ti fa arrabbiare. Ti chiedi per quale ragione ora non possa più essere così? Chi ha sbagliato? Dove? Che è successo? Quando?
Ho chiesto a delle mie amiche  una loro opinione sulla tv di adesso. Su quanto ci si ritrovassero, su come la considerano, su quanto le ha aiutate, o su quanto e come la guardano. E’ emerso un quadro interessante, parecchio.
Ne parliamo martedì 6 novembre all’Unione Femminile Nazionale di Milano. Dalle 17.30 in corso di Porta Nuova 32. Ci saranno Tilde Capomazza autrice di “Si dice donna”, Loredana Cornero autrice di “La tigre e il violino”, Annamaria Guadagni, una giornalista e….io. Argh.
Vi aspettiamo!

Il seminario in Bicocca del 30 marzo

18 lunedì Apr 2011

Posted by AlessaNDra in Interventi, Proiezioni

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alessandra ghimenti, barbara mapelli, bicocca, carmen leccardi, educazione delle bambine, egle becchi, elisabetta ruspini, ico gasparri, ma il cielo è sempre più blu

Tanto da farla sembrare quasi
un essere irreale la cui reale identità
fosse stata cancellata dai tanti lavaggi
[Janet Frame – Un angelo alla mia tavola]

Il seminario prende il via dalle parole di Barbara Mapelli e Carmen Leccardi: non viene mai preso in considerazione il genere di chi è educato; le immagini perpetrate dai media sono false, l’educazione, se non le critica, di fatto le legittima.

Il primo intervento è di Egle Becchi, dell’Università di Pavia.  Esordisce parlando delle raffigurazione delle “bambine orse” sui vasi ateniesi. Secondo il mito una bambina era stata aggredita da un’orsa che lei stessa aveva provocato. Il fratello, per difenderla, uccise l’animale, suscitando l’ira di Artemide che punì le bambine, le quali, d’ora innanzi, dovevano passare un periodo da “orsa” prima della pubertà. Un passaggio di consegne dai genitori, all’orsa, al marito; che già nel mito greco svela l’intenzione repressiva dell’educazione sulle bambine. Nei vasi ateniesi le bambine orse vengono raffigurate ad un tavolo, la parte nascosta agli occhi è mostruosa, bestiale. Questo significherebbe la natura temibile e demoniaca, perché già seduttiva, che storicamente viene assegnata alla bambina, all’embrione della donna, e che spiega perché ci sia tanta poca letteratura sulle bambine. La bambina porta un germe malvagio che va represso affidandone l’incarico dal padre al futuro marito, in un passaggio di consegne educativo e di controllo totale, al punto che la donna non ha più memoria del suo passato. Si parla di bambine ma non di educazione delle bambine, non c’è traccia di loro nella storia delle donne. Solo Freud aveva postulato, nelle sue lezioni, una pedagogia diversa per bambini e bambine, perché diversi sono i meccanismi psichici formativi. Chardin, dal canto suo, prima di Freud, aveva dipinto quadri che dovevano servire d’esempio alla piccole che guardavano, quadri di bambine buone. In uno di questi una bimba tiene l’aquilone, un’aspirazione di libertà tarpata dalla sua cintura, a cui è appeso un ago e un gomitolo. L’aquilone allora non è un anelito di ambizione, ma solo un momento di svago nel lavoro domestico.

Prosegue il seminario Alessandra Aresu, giornalista che ha incentrato il suo lavoro sull’educazione sessuale in Cina. Il messaggio educativo è rivolto solo alle bambine, poiché il governo cinese, forte dell’espansione economica, identifica un legame fra corpo femminile e sviluppo nazionale: le ragazze sono importanti perché saranno i loro corpi a creare le generazioni future. E’ per questo che le ragazze devono essere guidate verso comportamenti che prevengano danni al loro corpo e al loro equilibrio psicofisico. Il pericolo numero 1 è il sesso prematrimoniale. Alle femmine, e solo alle femmine, viene chiesto di discernere fra amicizia e amore. I ragazzi sono raffigurati come spensierati e ormonali giovanotti che tentano le femmine con lusinghe, poiché cedano alle loro promesse d’amore illusorie. Le ragazze vengono messe in guardia: la verginità consumata significa sventura. Le vignette illustrano l’idea. La ragazza che non è più vergine è sopraffatta dai rimorsi, il marito la maltratta, è autorizzato. Qualora rimanesse incinta, la ragazza madre dovrebbe abortire, e l’aborto le procurerebbe danni incalcolabili al punto di compromettere la sua capacità procreativa. La ragazzina incinta viene sempre disegnata sola, a mangiarsi le mani: le responsabilità della gravidanza sono soltanto sue. E a lei che viene chiesto di pensarci prima. I maschi vengono raffigurati sempre sullo sfondo, sullo skate.

Roberto Fantini, professore di lettere in un liceo e membro di Amnesty International, relaziona sulle violenze e sulle discriminazioni che le bambine subiscono a scuola, nel mondo. Bersagliate da scherzi pesanti, calunniate dai pettegolezzi via sms, violentate dal personale scolastico, rieducate con punizioni corporali, oggetto di richieste sessuali in cambio di voti dai docenti, rapite e abusate nei paesi di guerra. Ci sono condizioni che acuiscono le discriminazioni: le ragazze lesbiche, disabili, di etnie diverse dalla maggioranza, diventano vittime oltre che di sessimo, di omofobia, di razzismi. Tutto questa mole è una minaccia che incide sul rendimento scolastico. Chi ha subito violenze si sente sminuita ed esce dal circuito scolastico per non rientrarci più. Amnesty chiede di intraprendere azioni contro le violenze e le discriminazioni.

E’ un altro uomo a prendere la parola: Ico Gasparri. E’ un fotografo che ha fatto un gran lavoro fotografando i manifesti pubblicitari stradali a Milano dal 1990 al 2010. L’inchiesta si chiama “Chi è il maestro del lupo cattivo?”. La pubblicità stradale è un canale di comunicazione diverso dai media comuni, perché non possiamo fare a meno di vederlo. E’ una comunicazione obbligatoria che viola il nostro spazio privato, ha un linguaggio suo, che muta molto, molto lentamente. Le donne dei manifesti sono passive, prestano la loro bellezza, sono donne erotiche, non casalinghe, non impiegate, solo donne da sesso. Dal 2000 non si usano più modelle sconosciute ma donne affermate per la loro avvenenza che diventano testimonial. Inizialmente sono senza nome, poi nel cartellone compare la firma. Si fidelizzano al modello. E’ l’epoca dell’accondiscendenza femminile. Si parla anche della tanto discussa campagna di Silvian Heach. A Milano si possono ammirare due manifesti: la ragazza semiprona sul terrazzo, e le amiche che succhiano un ghiacciolo calippoide. Essendo un’ignorante in fatto di moda, in effetti mi sono domandata cosa diamine stessero pubblicizzando. Donne in Quota ha scritto al Ministero delle Pari Opportunità, ed ha ottenuto una risposta. Il cartellone è stato rimosso, solo dalla scuola. E solo perché era scaduto il periodo di affissione, a quanto dice Ico. Nelle ultime settimane, addirittura delle bambine sono state raffigurate sui provocatori cartelli di Silvian Heach e di CocoNudina. Era il caso?

Dafne Guida, di pedagogika.it, ci riporta all’educazione come formazione. I bambini e le bambine recepiscono ciò che anche inavvertitamente gli educatori sdoganano. Dobbiamo stare attent agli stereotipi che perpetriamo con i modi di dire, con i rimproveri. L’attenzione si posa poi sulle favole, le più famose ripropongono sempre i soliti stereotipi. Le donne stanno in posizione di attesa, i maschi agiscono, salvano, sposano.

E’ il turno di Isabella Landi, pedagoga e formatrice, che ci ricorda l’importanza dell’autoeducazione degli adulti. Citando Barbara Mapelli (Sette vite come i gatti, Stripes Edizioni) dobbiamo “praticare tutte le stanze delle donne”, dobbiamo aiutare le donne ad esserci di più, a starci. Nella formazione dei più piccoli occorre tener viva una coscienza critica, non ha senso aver paura di internet, demonizzarlo, proibirlo, solo perché non lo conosciamo. Isabella conclude con una delle sue uscite ad effetto, dense di ispirazione e speranza: quello che una donna dovrebbe arrivare a dire è “riconoscimi per quello che sono”.

Federica Trevisanello, ricercatrice, ci parla della sua ricerca attuata con i focus group di mamme dai 35 ai 45 anni. L’educazione di bambini e bambine appare sempre come una affare dicompetenza femminile, i padri sono in secondo piano. Quello che sfugge è il qui e ora delle bambine, sono viste sempre come quello che saranno da donne. Le madri spesso soddisfano attraverso le figlie i loro desideri di bambina frustrata. I cosmetici entrano precocemente nei giochi di bimba. Il corpo delle femmine viene esposto in casa: la bambina fa la doccia con la mamma, a lei è impedito il chiudersi in bagno. Esporre il loro corpo di donna alla figlia secondo le madri è educativo, poiché prefigura ciò che la piccola diventerà da grande. Sono estremamente eloquenti con le figlie circa il ciclo mestruale e i mutamenti del corpo, eppure vi è una massima reticenza su tutto ciò che riguarda il sesso, al punto di mettere in dubbio l’utilità di una educazione sessuale.

E’ a questo punto che proiettano Ma il cielo è sempre più blu. Maria Grazia Riva, la coordinatrice, mi chiede di proiettarne solo 5′: siamo oltre i tempi. Play. Ridono, commentano, s’indignano, s’inteneriscono.Maria Grazia mi raggiunge sottovoce: “Lascialo andare tutto! Sta piacendo molto”.

Dopo il break (in cui, non dovrei dirlo, m’imbuco spaziotemporalmente nel buffet) si avvia la seconda parte dell’incontro.

Ricomincia Susanna Mantovani, docente alla Bicocca. Ci ricorda attraverso qualche battuta come i luoghi dell’educazione siano tipicamente femminili. Gli oggetti usati nel teatro delle ombre all’asilo, sono spesso oggetti di cucina, i libri sussidiari delle scuole elementari ritraggono donne stereotipate. Chiude con un aneddoto familiare: si stava preparando frettolosamente, in ritardo, quando la figlia le fece una domanda:
“Mamma, cos’è un’idea?”
“Un’idea è una cosa come la vedi. Ad esempio, com’è la mamma?”
“Sulla porta”. Non ha mai capito quanta metafora ci fosse in questa risposta.

Prosegue Liliana Barchiesi, la fotografa autrice della locandina del seminario. E’ una foto scattata nel 1975 per un catalogo di giochi. Liliana cominciò a fotografare bambini e bambine che giocavano per strada, piano piano i bambini si spostarono in primo piano, occuparono l’inquadratura, alzarono lo sguardo, si misero in posa, si atteggiarono, la bambine nel frattempo, si fecero da parte.

Gabriella Mariotti invece è una psicoanalista. Anlizza la famiglia, i genitori, i ruoli educativi. Non identifica solo una mamma bambina, ma una coppia di genitori regrediti. L’incremento degli attacchi di panico esprime un aumento dell’angoscia senza nome. Si cerca di superare quest’angoscia della complessità recuperando una fase mentale primitiva ed elementare, le certezze del passato. E’ così che i genitori cercano sicurezze nei figli, cercano conferme del loro ruolo, della loro efficienza, fanno in modo che i figli non debbano aver paura e in questo maniera si attua la regressione. In questo quadro la mamma e la bambina si confondono una nell’altra, alla figlia è richiesta un’adultizzazione precoce. Le ragazze hanno un’io scisso fra un sé iperadattato socialmente, generato dai genitori che cercano rassicurazioni mancate, e un sé affettivo rimasto infantile. Non sanno motivare le emozioni che provano, angoscia, rabbia, depressione. Il sé iperadattato arriva a coincidere col corpo, con la reificazione che se ne fa, e che ne fanno le madri delle figlie, per dimostrare la loro adattabilità. E’ però un corpo privato della sua potenza, del desiderio, della trasgressione. E’ un corpo che nella ricerca delle perfezione viene privato delle sue prerogative naturali: è perfetto, non è gravido, non è mestruato, è anacronistico. E’ così che si scinde fra corpo reale,e corpo ideale: il corpo iperadattato e quindi seduttore. Si torna al punto di partenza di Ico Gasparri.

Marina Piazza ci presenta il suo lavoro, svolto sulle educatrici dell’infanzia a Prato. Nonostante gli esempi che vedono in casa, i bambini accedono agli stereotipi per semplificare. Non solo. La visibilità delle donne è accantonata poiché quando svolgono un lavoro di cura domestico, seppure nelle azioni si puòindividuare la loro fatica, non viene riconosciuta perché è il racconto che manca. Il babbo torna e parla del suo lavoro. La mamma tace. Il lavoro del babbo passa, quello della mamma no. La cura non è riconosciuta, per quanto sia quasi sempre cura degli altri e mai di sé. Marina chiude con un incitamento: le femmine pensino di più a sé stesse e meno agli altri, i maschi pensino più agli altri e meno a sé stessi.

L’intervento di Maria Ferrucci, sindaca di Corsico, mi lascia interdetta. Le ragazzine delle scuole medie si prostituiscono per le ricariche del cellulare. Non in Thailandia. A Corsico, alla periferia di Milano. Maria ha fatto monitorare i comportamenti delle bambine del suo comune da degli esperti. Fra i tanti aspetti interessanti ne cito uno: le ragazze tendenzialmente hanno relazioni con un piccolo gruppo di amiche, e basta. E’ un gruppo che non critica, criticare vuol dire cercare un conflitto da cui ci si guarda bene. L’amicizia per loro è solo una cosa bella, “si sta insieme senza far niente”. Senza far niente. Ricordiacelo. C’è anche un interessante lavoro sulle gerarchie da cui emerge che i maschi sanno di avere il potere, lo dicono, ma ai fatti non sanno esercitarlo. Viceversa le femmine non sono coscienti del loro potenziale ma messe a capo di un gruppo esercitano e mantegono il potere meglio dei maschi.

Il penultimo intervento spetta ad Alessandro Sala, giornalista del Corriere delle sera. Ci offre un quadro divertente ed esaustivo sui videogame. Prima i videogiochi si trovavano solo nelle sale giochi, dunque erano riservati ad un’utenza maschile. Con le console domestiche anche le femmine sono diventate un target delle aziende produttrici che però generalmente non fanno distinzioni. I giochi sono trasversali al genere, del resto le femmine non usano nessuno degli avatar femminili proposti per accedere allla partita. Ci sono però le eccezioni. E’ il caso di Giulia Passione e la linea Mama. Giulia Passione propone una serie di possibilità stereotipate di gioco. Mama invece si diversifica tanto che è usato indifferentemente da maschi e femmine: Gardening Mama, Cooking Mama… Solo una variante è dedicata alle femmine: Baby Sitting Mama. Curioso riscontrare che è l’unica variante per cui è stato predisposto un sensore di movimenti grazie al quale la bambina che gioca può veramente cullare il piccolo avatar, acciocché sia una cura più aderente alla realtà, più mimetica. Alessandro ricorda che comprerà la linea Giulia Passione alla figlia solo quando fra le possibili varianti ci sarà anche Giulia Passione presidente del consiglio.

Chiude il seminario Barbara Zapparoli, una pediatra. Si riallaccia al discorso sull’incertezza genitoriale di Gabriella Mariotti. C’è sempre qualcuno che ti dice cosa devi fare per essere un genitore perfetto. Uno sproloquio di consigli tecnici, pedanti, di cui parlava anche la Lipperini. Ai pediatri si rivolge il genitore, chiede loro di aiutarli a comprendere suo figlio, a capire cosa dice, cosa bisogna fare e perché. Non è una questione di fragilità è un essere meno disposti all’ascolto. Sono abituati ad essere indirizzati, ed in questo, dice Barbara, forse anche la sua classe lavorativa ha delle colpe.

C’è un argomento che mi ha molto colpito nel suo intervento, su cui non avevo mai posto l’attenzione. L’attesa. L’attesa è sempre declinata al femminile. L’attesa nella gravidanza, l’attesa nell’allattamento, l’attesa del ciclo mestruale. Il maschio non sa cosa fare quando e perché.L’attesa. Però lo fa, evidentemente. Come nelle favole. La principessa non agisce, attende alla torre. Attende che il principe la venga a salvare. L’attesa.

Mi dispiace avervi fatto attendere tanto. Spero non sia stato vano…

Il corso Unicef del 18 marzo

19 sabato Mar 2011

Posted by AlessaNDra in Interventi, Proiezioni

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alessandra ghimenti, bicocca, carmen leccardi, elisabetta ruspini, ma il cielo è sempre più blu, unicef

Chinatosi su di lei, intimò alla febbre,
e la febbre la lasciò.
Levatasi all’istante cominciò a servirli.
[Lc 4,39]

Entrare in un’università mi fa sempre un effetto straniante. Mi sento un po’ come un chierico in visita e un po’ come una ladra. Respiro l’aria rilassata e senza tempo, felice di non appartenere più a quel mondo sospeso. Eppure sotto sotto giurerei di sentire ancora Albano e Romina. Nostalghia. Mi accolgono con un “Ciao”, segno che ho azzeccato l’effetto giovanile del ciuffo ingelatinato. Il mio amico F, guida dell’incontro, mi presenta Lella Costa. No dico. Ho stretto la mano a Lella Costa. Nell’aula afosa, che porta il nome nome di una stanza di motel, 211, continuano ad entrare giovani studenti e studentesse. Chissà perché sono qui. Ricordo i corsi extracurricolari, li frequentavo, a volte, x varie ragioni. E da queste dipendeva lo sguardo con cui guardavo i relatori in basso. A volte con devozione curiosa, a volte con irriverente fastidio. Confido nella prima.

Introduce Lella Costa, con un divertentissimo monologo circa la condizione femminile, divaga toccando tutto in punta di dita, illumina. Fa sorridere, fa pensare. A quanto pare il maschio è destinato ad estinguersi. Nel duecentomilaqualcosa.

Fiammetta Casali, la referente dell’Unicef, snocciola qualche dato. In Italia le adolescenti sono le più soggette all’anemia e alle malattie della nutrizione, ciononostante sono i maschi i soggetti più ricoverati. Nel mondo il 70% dei poveri, e il 75% degli analfabeti, sono donne. Le donne fanno il 60% del lavoro nel mondo ma ricevono il 5% degli introiti, questo dipende anche dal fatto che generalmente le donne svolgono lavori meno remunerati o non monetizzati per niente come quelli di sussistenza. La casalinga, x intenderci. In Italia le femmine studiano più dei maschi, ma fanno meno carriera. Del resto, nella classifica europea dell’occupazione femminile, dopo di noi c’è solo Malta. Forse anche perché 30 donne su 100 lavorano solo grazie all’aiuto dei nonni in famiglia. E’ il solito vecchio discorso degli ammortizzatori sociali che mancano. Solitamente ci rincuoriamo, tanto c’è chi sta peggio. Ah, fossimo nel terzo mondo, lì sì che avremmo problemi veri….No? Ebbene. In Ruanda il 49% dei seggi è femminile. Per dire.

Prosegue Carmen Leccardi, docente all’universita di Milano-Bicocca, che illustra l’iter storico-sociologico delle questioni di “genere”. Il termine “gender” nasce negli anni ’70, usato per la prima volta da Gayle Rubin, antropologa che comincia a criticare il presunto determinismo biologico, e la declinazione al maschile come neutro universale. Le categorie maschile e femminile e ciò che sta al loro interno sono state formate non tenendo conto dei rapporti di forza fra maschi e femmine, che ci sono e che regolano anche i rapporti di produzione, e quelli di relazione fra uomini e donne. “Gender” viene coniato per indicare le relazioni mutevoli, fra i due generi, non è dunque una fotografia pietrificante ma cambia, nel tempo e nel luogo. Questa caratteristica di mutazione è la leva che le donne devono impugnare per ribilanciare la società. L’identità di genere, quindi è un’identità dinamica che tiene conto anche delle variabili soggettive, sostituisce le identità “maschile” e “femminile”, statiche. Oggi la parola “genere” non mantiene più la memoria delle lotte dei movimenti femminili per la parità, che l’hanno fatto nascere, se ne dovrebbe tener conto, invece, per non abbandonare i traguardi conquistati. Il cammino della donna fonda i suoi passi anche sul concetto di “doppia presenza”, descritto da Laura Balbo nel ’78. Il ruolo della donna deve smarcarsi dal compito prettamente riproduttivo (in famiglia) , per raggiungere o aggiungere quello produttivo (nella società).
L’intervento della prof.ssa Leccardi continua spiegando la funzione stigmatizzante e riduttiva che lo stereotipo di genere ha sulla donna. Gli stereotipi, quelle immagini mentali proposte come rappresentazioni condivise per sopperire a un deficit cognitivo, sono frutto di quei rapporti di potere (di cui sopra) che sono ancora in mano agli uomini. Le donne stesse, spesso, si autostereotipizzano; si leggono, cioé, attraverso lo stereotipo negandosi delle prerogative. E’ quello che fanno “le mie” bambine, quando auspicano x loro solo lavori di basso profilo, o quando, incuranti dell’impegno che la loro professione ideale richiederebbe, affermano che ai figli, nella loro futura famiglia, ci penseranno loro. I mariti saranno quelli che lavorano. E producono. Gli stereotipi sono quelli che vedono il sex appeal appannaggio delle donne, e agli uomini l’intelligenza. Gli stereotipi ci inchiodano. E non tengono conto della nostra soggettività di individui.
Come ultimo argomento, Carmen parla del “soffitto di cristallo” cioè quelle discriminazioni non direttamente percepibili, quelle barriere invisibili che bloccano l’ascesa professionale delle donne. Secondo Manageritalia le donne dirigenti in Italia sono il 12%. La media europea è al 30%, nello specifico: in Francia sono il 37%, in Inghilterra il 35%, in Germania il 30%. Per la cronaca, ci supera anche la Turchia. Da qui è nata la proposta bipartisan di Alessia Mosca e Lella Golfo di imporre una quota rosa del 30% nei consigli di amministrazione. Attualmente  le donne sono presenti nel 3,2% dei C.d.A. italiani. In quelli norvegesi sono al 42%, in quelli svedesi al 20%, e la media europea è ancora all’11%.Molto bassa dunque. Noi ci siamo preoccupati di stare comunque abbondantemente sotto.

Segue la prof.ssa Ruspini e il suo laboratorio In Chiaro, che analizzano e mostrano gli spot indirizzati ai bambini. La solita vecchia tristezza: alle femmine le cosine x farsi belle, o per fare le donnine di casa. Ai maschi tutto il resto.L’intervento è chiaro ed esaustivo, indicativamente riassume quello del 14 marzo.

E’ il momento domanda. F mi rispedisce sul palchetto e prende il microfono scalando gli spalti. Per un momento mi sembra di essere a Tempi Moderni, di Daria Bignardi. Magari, data l’età dell’uditorio, sembra più il primo Amici della De Filippi. Quelle fazioni di ragazzi un po’ sdruciti che dibattevano animatamente se era il caso che Francy lasciasse Luca, perché una sera l’aveva baciata eppoi c’ha l’amico tossico. Ma magari questi giovini, quella tv non l’hanno neanche vista. In ogni caso è tutto abbastanza esaltante. Sento l’abbigliamento ggiovane che mi protegge dai 30 imminenti e mi fa guardare con affetto dal resto delle autorevoli oratrici.

Poi. La domanda. Si alza una ragazza in un morbidissimo golfino turchese, ha gli occhiali, i jeans e la coda di cavallo. E’ piacevolmente normale.Potrei essere io, qualche anno fa:
– Io capisco questa cosa delle pubblicità, ok. Però voglio dire: è naturale. E’ natura che la donna sia più portata per la cura e l’uomo per l’aggressività e l’esplorazione.
No. Non potrei essere io qualche anno fa. Mai portati gli occhiali. E’ forse troppo normale.
In sala serpeggiano sorrisini beffardi uniti ad occhiate timorose verso il personale in cattedra. Tento di dissimulare il sorrisetto sprezzante accarezzandomi il mento con indice e pollice. Il gesto dell’intellettuale perplesso, più spendibile data la posizione. Un signore elegante rincara la dose: “Le femmine sono diverse dai maschi, appianare la differenza vi sminuisce”. E’ che i diritti non dovrebbero fondarsi sui luoghi comuni, magari.
Elisabetta Ruspini risponde a tono. La differenza è una cosa. La disuguaglianza è un’altra. Sulla presunta naturalità della differenza corporale, si adatta oggi una vestizione sociale di questi corpi, che non è equa, è stigmatizzata, stereotipata. Ci sono dei costi sociali dalla polarizzazione di genere e sono assai alti. Non investire sulla produttività delle donne, lasciarle disoccupate, al loro ruolo di cura in famiglia, non fa bene neanche al “virilissimo” PIL…

La serata del 14 marzo

15 martedì Mar 2011

Posted by AlessaNDra in Interventi, Proiezioni

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alessandra ghimenti, ma il cielo è sempre più blu, piccole donne cambiano e i maschi, unione feminile

Ballo perché vorrei dire sì
ballo perché nascondo così
questa malinconia
[Lorella Cuccarini – Io ballerò]

Il dvd l’ho preso, la penna usb (vedi mai) anche, la scaletta, il quaderno, le ricevute, il cellulare, i fogli, la videocamera, i temi. Ok, sono in anticipo di mezz’ora: vado. L’utero decide di sfaldarmisi un minuto prima di uscire. L’mp3, un minuto dopo. Dopo un minuto che sono sul tram mi ricordo che mi sono dimenticata il cavalletto. Scendo. Torno. Riparto. Fortunatamente da casa mia all’unione femminile ho un comodissimo tram che impiega circa 10′. Sfortunatamente proprio oggi sono cominciati dei lavori sulla tratta. Per arrivare cambio 5 mezzi diversi, un totale di un’ora. Se esiste un campionato di sfiga  x gli ultimi preparativi prima di un evento, sono nella top-ten.
La serata però comincia bene. Nella platea ci sono volti illustri: Lea Melandri, Annamaria Testa, diverse giornaliste, docenti, mamme, babbi, nonni, possibili fidanzati, studentesse, tirocinanti, un futuro attore, e un futuro sceneggiatore, mio compagno di studi a Pisa, ragazze, ragazzi, donne e uomini. E poi le mie amiche dell’Unione femminile, sempre accoglienti, gentili, materne, briose, e quel pubblico di tutti gli incontri: donne sapute e attente. Una varietà di pubblico femminile, che guardo sempre curiosa e ammaliata. Nel mio paesino, le riunioni al femminile, le organizzano le rappresentanti della Stanhome.

Antonella Eberlin comincia ad introdurre, una donna, come tutte, che sa il fatto suo. Sarò all’altezza? Comincio dirompente, memore delle bacchettate a teatro. Sarò troppo aggressiva? Premo play e il corto comincia. Si sentirà l’audio?
Quando vedo il muro bianco colorato da quei faccini paffuti, che sono abituata a sminuzzare, limare, risentire, e ritagliare in un quadretto del mio pc, mi sento quasi come se avessi partorito. Come quando giochi alla patata bollente e lanci la palla che scotta. Come se avessi accumulato un gomitolo e adesso lo lanciassi libero davanti a me. Sento le persone che ridono, che commentano, che ascoltano. Alla fine addirittura applaudono. Mi sento meglio, un po’ sì.

La serata prosegue. Elisabetta Ruspini, docente di sociologia alla Bicocca, parla dell’importanza della critica rispetto ai prodotti sui media per i bambini, è opportuno contestualizzare. I bambini che rispondono a una domanda per cui devono utilizzare una proiezione del sé futuro, fanno ricorso necessariamente allo stereotipo, poiché devono parlare di ciò che non conoscono ancora. Altro discorso vale per le pubblicità che interrompono il palinsesto dedicato all’infanzia, si fondono su figure stereotipate di bambini e bambine. Spesso il target degli spot non sono soltanto i bambini stessi, ma i genitori che fruiscono con loro il programma. E’ il caso di famose pubblicità in cui le bambine aiutano a prepapare la cena, sono già piccole cuoche. L’essenziale è lo sviluppo di una capacità critica autonoma.

Giovanna Cosenza, docente di Semiotica a Bologna, entra ancora di più nello specifico. Le bambole stesse sono un tipo di media che veicolano un’ideale estetico di corpo femminile ancora più prigioniero del canone stereotipato. E’ questa l’evoluzione allarmante che emerge se si prendono a confronto le winx, le bratz, le barbie di ieri e di oggi. La winx propone una fisicità, a suo parere, più ribelle e autonoma sì, ma estremizza alcune delle qualità fisiche di barbie quali la magrezza, gli occhi all’insù, ecc. Giovanna proietta e analizza i montaggi fatti dalle bambine su youtube, che raccolgono i momenti di trasformazione magica delle winx. La magia arriva alla winx mentre vengono mostrati il suo punto vita, il seno, i fianchi. I poteri femminili insomma…sempre quelli sono…Ahimé.

Dopo questi interventi, le testimonianze dei genitori. Per quanto si cerchi di fornire esempi diversi in famiglia i bambini sembrano comunque rimanere influenzati dal gruppo dei pari, si notano dei cambiamenti quando entrano alla scuola primaria. I motivi di questa inversione di tendenza sarebbero lunghi da analizzare, e io di certo non sono in grado. Qualche speranza ce la lascia Isabella, l’ultima mamma, che chiude la serata ricordandoci che la parità sarà raggiunta quando un bambino in difficoltà chiamerà indifferentemente “mamma” o “babbo”. Suo figlio, 10 anni, semplicemente chiama chi gli è più vicino.

A fine serata cominciamo la raccolta di fondi. E chiaramente ho sbagliato a compilare le ricevute. E c’avevo anche pensato parecchio. Il ricavato è un inizio, e per me è già un trionfo! Trovare qualcuno che crede in me al punto di mettere mano al portafogli, in tempi come questi, è un traguardo commovente! Sono grata e ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno voluto darci fiducia! I soldi che stiamo raccogliendo saranno utilizzati per finanziare i viaggi e le spese che sosterremo recandoci nelle varie scuole in Italia. Grazie!
Grazie! E grazie a tutti quelli che c’erano, che hanno organizzato e che hanno partecipato!

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